"Monzó excelle en cette
ambiance douce-amère où chaque événement, chaque parole, peut se
transformer en piqûre mortelle. On rit... avant, soudainement, d'être figé
par un flash de lumière noire.”
André Rollin,
Le Canard Enchainé, Paris
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Mille cretini
Il più grande
fascino del romanzo è la sua libertà, e in ultima istanza il lusso di
potersi permettere la lentezza. Il narratore può portarsi a spasso un
personaggio per venti pagine o soffermarsi per trenta o quaranta righe
sulla descrizione di un dettaglio. Il romanzo gode di un respiro ampio.
Il racconto naturalmente non può permettersi tutto questo. Chi scrive
racconti deve dosare con sapienza tempi e ritmi della narrazione,
puntare dritto al punto quando serve e, possibilmente, colpire nel
segno. Chi sceglie la forma breve può concedersi la lentezza soltanto
se alla fine viene premiata da una trovata efficace o se riesce a
diluire in essa il senso di una storia. Si può dire che il racconto
abbia il fiato corto.
Alcuni brani
di Quim
Monzó, scrittore catalano apprezzatissimo in patria,
rispettano davvero le caratteristiche migliori del racconto. Tanto che
la raccolta
Mille cretini, uscita pochi mesi fa per Marcos
y Marcos, potrebbe essere brutalmente letta come un
manuale di tecnica narrativa.
C’è il crescendo di Sabato,
la storia di una donna che inizia a liberarsi ossessivamente di tutto
ciò che riguarda il marito – vestiti, vecchie foto – finché la sua
follia si estende a tutta la casa – mobili, lampadari, persino
piastrelle; l’abilità nel piazzare un picco narrativo efficace, come
in Oltre
la ferita, dove al termine di una vacua discussione
letteraria tra un uomo e una donna, lui si toglie da un impiccio (non
ha mai letto Il
Profumo di
Süskind) con una battuta sagace; il gusto di giocare con il
ribaltamento di una scena classica, ben delineata nei tempi e nelle
dinamiche, come in Una
notte, dove il principe che incontra la bella addormentata
finisce per liberare dalla maledizione la donzella, ma finirà per
assopirsi a sua volta, e questa volta per sempre.
Ciò che colpisce di più il lettore, tuttavia, non è tanto la tecnica
narrativa, pur notevole in alcuni pezzi, ma lo spirito dissacrante dei
racconti. Come Auslander,
Monzó gioca con il paradosso, le situazioni assurde, i nonsense,
spinto dall’unico proposito di mostrarci chi siamo o chi potremmo
diventare. Quella che rappresenta è la vita di qualsiasi lettore
borghese, ma esasperata, istupidita da uno svolgimento narrativo privo
di logica.
Per questo i gesti più vicini alla quotidianità possono diventare il
pretesto per smascherare il rapporto tra due persone, una discrasia
sentimentale, un anello debole. L’ambito coniugale, in questo senso, è
uno dei più bersagliati. In Cento
di questi giorni un
uomo, riordinando un armadio, trova i maglioni a V color pastello che
sua moglie, accecata dal desiderio di plasmare il marito, continua a
regalargli da anni nonostante a lui non siano mai piaciuti e non
l’abbia mai nascosto.
E se il protagonista di Forchetta,
apprestandosi a mangiare, si rendesse conto che la moglie gli ha
furbescamente rifilato una posata caduta per terra, come reagirebbe?
Interpreterebbe il dispettoso gesto come una delle tante, piccole
vendette che una vita coniugale dignitosa – ma piatta – può innescare?
L’affezione alla borghesia e al disvelamento delle dinamiche interne
ai suoi rapporti quotidiani (padre e figlio, moglie e marito)
potrebbero ricordare al lettore italiano molti racconti di Buzzati. Un
esempio su tutti: anche se Monzó non gioca con il fantastico ma con il
gusto del paradosso e dell’assurdo portato all’estremo, probabilmente
a Buzzati non sarebbe dispiaciuto il racconto Il
ragazzo e la donna, dove un attacchino di un’agenzia
immobiliare appiccica volantini pubblicitari per la strada e una
misteriosa donna lo segue passo passo per staccarglieli subito. Chi
sarà quella donna? Cosa vorrà? La domanda angosciante non riceverà mai
risposta.
Michele Bertinotti,
EL
ALEPH,
http://elaleph.it/2013/07/15/mille-cretini-di-quim-monzo
:
Mille
cretini
Un
bellimbusto ultraottuagenario che ammazza il tempo ed esorcizza la
vecchiaia con tacchi a spillo e calze a rete, minigonne e trucco
glamour. Un incallito insonne che le ha provate tutte, ma proprio
tutte, ma niente, anche i libri più noiosi e pesanti lo incuriosiscono
e lo appassionano tenendolo destissimo: solo la moglie, nei momenti
più intimi, è capace di farlo sprofondare in un torpore senza eguali e
in un sonno catatonico. Un trepidante e devoto principe azzurro che
profonde con inesauribile e romantica passione tutte le sue energie
per ridestare la sua bella: ma nulla, sfibrato dopo tanti tentativi a
vuoto si assopisce, e quando proprio allora la sua bella si ridesta,
lei se la fila chiedendosi chi sia mai quell’estraneo che le si è
addormentato a fianco. Una mogliettina sollecita che puntualmente si
lancia nell’epica avventura di educare il consorte al bon ton
regalandogli maglioni color ocra, scollo a V (come non amare quel
meraviglioso modello e quei fantastici colori?). Ma lui (ehhh già…),
lui ama i colori scuri (come è mai possibile?) e detesta lo scollo a
V. E così, nella titanica impresa di elevare il maritino al bello,
ecco in verità quei maglioni, uno alla volta, anno dopo anno,
impilarsi uno sull’altro sotto una coltre di polvere, ben nascosti (indovinate
da chi?) sul ripiano più alto e inutilizzato dell’armadio: suggello
della vanità di ogni conversione forzata...
Mille cretini: sono,
siamo i mille volti di una umanità che si affaccia nitida, e viva più
che mai, fra le mille pieghe dei brillanti racconti del catalano Quim
Monzó. Mordace, graffiante, anticonvenzionale, Monzó con uno stile
icastico, molto visivo, con pochi tratti ben messi a fuoco, ci riporta
scene di ordinaria quotidianità. Nella forma, spesso, del paradosso,
mette a punto con uno stile arguto le nostre grandezze e miserie, i
tic quotidiani, i pensieri più teneri e nostalgici ma anche le
piccinerie del nostro comune agire. È soprattutto nei racconti più
brevi che Monzó, ci pare, colpisce nel segno: in poco più di una
paginetta fra divertito e mordace ci strappa un sorriso ma ci svela,
fra le righe, bagliori di verità, lasciandoci, a fine racconto, con il
pensiero sospeso a rincorrere il senso ultimo di quelle parole fuggite
via fulminee. In fondo, dietro a stramberie, tic o ipocondrie i
personaggi che prendono vita fra queste pagine – piacevolissima
lettura – nascondono la loro profonda umanità, velando talvolta,
dietro scene parossistiche, anche un po’ di amarezza o di una sottile
tristezza, che veste i panni ora della tenerezza e del ricordo lieve,
ora della fuga (anche trasognata) dal proprio ruolo o dalla propria
ristretta realtà, ora delle piccole (o grandi) incomprensioni del
vivere quotidiano. Il tutto sempre affidato alla misura di un
racconto diretto, acuto, ad effetto, che pur senza essere superficiale
mantiene la propria piacevole autonomia narrativa. Una raccolta che è
un brillante, sagace graffio sulle convenzioni, uno sguardo
alternativo sulla multiforme varietà dell’animo umano. E nello
scoprirci tutti un po’ cretini, sorridendo assumiamo un pizzico
d’antidoto per provare ad esserlo un po’ meno. Quantomeno, abbiamo la
consolazione di essere in buona compagnia, e impariamo a guardare con
più levità l’altrui e la nostra umanità.
Marianna Morosin,
MANGIALIBRI
http://mangialibri.com/node/12495
:
A thousand morons
The stories in Quim Monzó’s A thousand morons are charged with
humor, heart, and a playful sense of irony, as each story toes the
fine line between absurdity and realism. In “Love is eternal,” a
chance encounter leads a man to rekindle a romance with an old lover.
After a friend informs him that she’s terminally ill but without
revealing her disease, the man decides to marry her, a decision
contingent on her inevitable death from her undisclosed illness. When
she doesn’t die, the man begins to re-evaluate their relationship,
which leads to a surprisingly tender conclusion. In “A cut,” a wispy
boy gushes blood from his neck after he’s attacked by bullies. The boy
storms into class late, only to be verbally assaulted by his teacher
about his terrible manners, lack of punctuality, and serious disregard
for societal etiquette. A thousand morons shows Monzó at his
finest, as these stories serve as microcosms of his unique imagination
and are must reading for those interested in first-rate contemporary
fiction.
Jeff Brewer, PUBLISHERS WEEKLY,
publishersweekly.com/pw/by-topic/new-titles/galley-talk/article/55166-galley-talk-a-thousand-morons-by-quim-monzo.html
:
Mille cretini
Non è che mi
trovi male con lei, né tanto meno desideri che muoia. Per niente. Ma
non fosse stato che doveva morire, non sarei mai andato a viverci
insieme, e tanto meno l'avrei sposata. Ovviamente non posso prenderla
di petto e dirle: "Allora, Carolina, quand'è che muori?"
Non sono proprio mille, ma cretini di certo. C'è
il principe azzurro che tenta in svariati modi di svegliare la bella
addormentata dal suo sonno, invano: alla fine è lui ad addormentarsi,
per sempre. C'è Toni, che entra in classe con una profonda ferita sul
collo, dalla quale il sangue esce copioso, ma viene ammonito poiché è
venuto meno all'etichetta, esordendo senza dire “buongiorno”, con la
divisa sporca di sangue – lo stesso sangue che rischia di insozzare il
parquet! Ma è probabile che uno dei peggiori cretini descritti da Quim
Monzó sia il ragazzo che, dopo tanto tempo, incontra la sua ex
fidanzata e decide di sposarla, poiché ha scoperto che è malata
terminale: peccato che la donna guarisca miracolosamente dal suo
brutto male e che il neo marito, a quel punto, non sappia più che fare.
Due parole su quest'autore, molto conosciuto e amato nella sua
Barcellona: Quim Monzó non è solo un talentuoso scrittore di romanzi,
racconti – come quelli contenuti in Mille cretini, edito in Italia da
Marcos y Marcos – e saggi, ma ha collaborato anche con il noto regista
spagnolo Bigas Luna nei dialoghi di alcuni suoi film, fra cui
Prosciutto prosciutto (1992). Suo è il discorso d'apertura – in
forma di racconto, una novità rispetto agli interventi degli anni
precedenti – nell'edizione del 2007 della Fiera di Francoforte, anno
in cui la Catalogna era paese ospite d'onore.
«Ama il vino italiano, le parole in via d'estinzione, le inchieste
assurde»: The Guardian lo considera uno dei massimi scrittori
viventi e i critici di tutto il mondo non hanno che parole positive su
di lui. In effetti, con Mille cretini, Monzó dimostra di
possedere non solo fantasia, senso dell'umorismo e innegabili qualità
di scrittura, ma anche la capacità di confezionare dei racconti brevi
di grande impatto emotivo (come nel caso de Il sangue del mese
venturo, un'inconsueta rilettura del tema dell'Annunciazione, con
una Madonna che non intende accettare la sua gravidanza).
Mille cretini è un libro divertente, piacevole, da leggere
tutto d'un fiato. Monzó riflette sui miti, le abitudini, i difetti
della moderna società, portandone certi aspetti all'esasperazione,
creando dei personaggi che sono delle vere e proprie “macchiette”, al
limite del grottesco: lo scrittore non rinuncia a ritrarli in modo
impietoso, concedendo, però, momenti di tenerezza e riflessione, come
nel caso del padre ne Il signor Beneset.
Mille cretini è, senza dubbio, uno dei migliori titoli
suggeriti negli ultimi tempi dalla casa editrice milanese e Quim Monzó
un autore da proporre e riproporre il più spesso possibile.
Elena Spadiliero, LA BOTTEGA DI HAMLIN,
labottegadihamlin.it/letteratura/2196-quim-monzo-mille-cretini.html
:
A thousand morons
Because A
thousand morons is
a short story collection, and because such things tend to become more
difficult to review because they wind up covering a myriad of topics
over the course of many separate, seemingly unrelated tales, it’s
tempting to pad out the start of this review with a list of awards and
honors that have been bestowed upon Catalan author Quim Monzó during
his nearly 40 year career. Don’t worry I won’t, although I probably
just took up the same amount of space explaining why I’m not going to.
Moronic? Perhaps.
What’s so great about Monzó’s
latest collection to find its way into English translation, and what’s
so perfect about the title, which is lifted from the first section’s
closing tale The
coming of spring, is that in it the author realizes that
not only is there a little stupid inside of all of us, but that more
importantly it’s a heavily motivating factor in our lives that pushes
us hard to pursue the things we desire.
Even better still is Monzó’s
playful use of the absurd to build tales that never traduce his
subjects, but instead envelop them in a ray of sympathetic light,
earning them the reader’s respect. Okay, perhaps respect is too
strong of a word, but it does become extremely difficult to fault them
for their actions.
The 19 tales that comprise this slim, 111 page
collection include some amazing gems such as the brilliantly
structured Thirty
Lines, which finds the author
simultaneously thrashing any moron who thinks it’s easy to churn out a
perfect short story while also attacking those who find that they need
to pad their work with page upon page of pretentious nonsense in order
to successfully deliver a longer form piece. I’m hard pressed to
identify anyone that’s made the case for saying what you have to say
and moving on quite like Monzó does here, so I’ll leave it at that,
and do just that, move on.
One night finds
Monzó reimagining the classic fairy tale for an older, wiser
generation that’s perhaps jaded by the passage of time and beat down
by their years on the planet. Don’t think Brothers Grimm, because
it’s not. Think instead about doing everything within your power to
make something happen, even when it’s quite clear from the get go that
it never will, and then missing out when it finally does.
My personal favorite of the bunch
is the heartbreakingly honest Things
aren’t what they used to be, which finds Monzó taking the
age-old tale about what’s to blame for our “sudden” human
disconnection and updating it for the modern era. It’s eye-opening
piece that makes you ponder about just where the blame lies and if we
were ever really all that close to begin with.
I could prattle on for ages,
tackling each tale one by one, boiling them down to their essence and
spoiling the magic they contain, but I’ll stop here because the beauty
of this collection lies in discovery and the self-examination that
goes along with reading it.
So go ahead and be a moron. It’s
not a bad thing. In fact, some of the best stories you’ll ever have
to tell will be born of your own stupidity. That my friends, is the
rather insightful point Monzó seems to realize and capture so
exquisitely here, and this welcome reminder is exactly why you should
pick this one up.
Aaron Westerman,
TYPOGRAPHICAL ERA,
typographicalera.com/a-thousand-morons-by-quim-monzo
:
El mejor libro de Quim
Monzó
No soy crítico literario, ni quisiera serlo.
Solamente me considero un lector más, con una opinión más. Por eso,
aún a riesgo de equivocarme, enunciaré una afirmación rotunda: Mil
cretinos es el mejor libro de relatos que hasta ahora ha publicado
Quim Monzó (Barcelona, 1952). Diré por qué, pero despacio, viajando
lentamente por algunos de sus cuentos.
Mil cretinos se estructura en dos partes. La primera es un
relieve escarpado de siete relatos excelentes que preceden a una
segunda parte (o conjunto de doce protocuentos) que elevan al autor
catalán al olimpo de la narrativa contemporánea. Quizás sea esta
segunda parte del libro la que ha obtenido críticas menos favorables.
Y, la verdad, no entiendo por qué. Pues esas doce estampas constituyen
lo mejor del libro: por la propuesta, por cómo se construyen y por
todo lo que (no) transmiten.
Pero entremos en las primeras páginas
monzonianas. Mil cretinos lo abre el relato llamado "El señor
Beneset", la historia de un hijo que visita a su padre en un
geriátrico. El progenitor, mientras se traviste de mujer frente a su
hijo, entona palabras que bien pudieran ser pronunciadas, no por un
padre, sino por una madre. El señor Beneset se disfraza de mujer --y
no sólo en apariencia sino también en esencia o carácter-- para eludir
lo más temido por un hombre: la muerte inminente (ésta es la
essentia de Mil cretinos).
Encontramos aquí al Monzó menos cínico, menos
humorístico y más íntimo, como si hubiese querido deshacerse de ese
tono onomatopéyico, casi de cómic, de su celebrado libro El porqué
de las cosas, y desease retornar a la esencia de su primera
colección ¡Uf!, dijo él. Me complace pensar que Monzó sigue en
Mil cretinos más la línea de Confidencias (relato último de
¡Uf!...) que de los virajes de El porqué..., donde se
adentraba en giros de tuerca sobre famosos cuentos infantiles o
relatos kafkianos ultraconocidos, o bien en las tramas de personajes
sin nombre pero sí con atributos reconocibles.
De esta primera parte de Mil cretinos
también te golpean relatos consiguientes como Sábado --el
angustioso despojo de fotos, ropa, objetos y recuerdos de lo que
presumimos una viuda o una mujer abandonada--; o excelencias como
La llegada de la primavera, relato del que se extrae el título de
la colección. En este cuento, de nuevo, un hijo visita a su padre y a
su madre en un geriátrico, pero en su narración, de manera secuencial,
Monzó juega con los tiempos, desde un presente hacia un futuro cercano
(usando flashforwards). Es por ello que, al principio, nos hace
pensar que se trata de la narración de dos personajes y no de uno
sólo, como descubrimos al final: eutanasia, muerte y angustia
reaparecen como argumento.
Así, este primer tramo de Mil cretinos
tiene ejes comunes: el dolor de la muerte, pero no desde el difunto,
sino desde el silencioso sufrimiento de los familiares cercanos. Es
como si Monzó nos dijese que no hay mayor dolor que la muerte de tus
seres queridos: quien muere, muere; quien ve la muerte inminente llora
y cuando se queda huérfano, sigue llorando la ausencia.
Comentan que Quim Monzó estuvo durante muchos
años de su vida cuidando de sus padres, en medio del nacimiento de sus
hijos. Entendemos con esta confesión las capas autobiográficas que
pueden tener Mil cretinos. Relatos como "Dos sueños" o "El amor
es eterno" no hacen más que prolongar el sufrimiento del lector. En
estos dos cuentos, los protagonistas no son descendientes que ven
agonizar a sus progenitores, sino que son futuros padres abocados a la
responsabilidad de criar (en presente o en futuro) a sus hijos,
sabiendo lo que ellos pueden sufrir cuando, como padres, les llegue un
último aliento o esa indefensión que es la última vejez, esa cuarta
edad decadente.
Sin embargo, esta primera parte del libro se
completa con una segunda parte de doce estampas: "La sangre del mes
que viene", "Un corte", "Cualquier tiempo pasado", "El tenedor"... No
son relatos y la crítica así lo ha recogido. Muchos han dicho que
Monzó ha llenado con artículos periodísticos este último tramo de
Mil cretinos. Como si el autor desplegara un llenapáginas para que
el libro cobrase lomo. Y no estoy de acuerdo; en absoluto.
Esos doce protocuentos de Mil cretinos
son, para mí, lo mejor del libro, la parte más dolorosa --y, por
tanto, más sincera-- de la última literatura de Monzó. Son doce textos
insoportables, como la mismísima Realidad.
Me explicaré tomando otro referente. En los
años sesenta, los vanguardistas utilizaban la mezcla de géneros para
crear simbolismo. Por ejemplo, tomemos a Julio Cortázar. El escritor
argentino aunó poesía y cuento en Historias de cronopios y famas,
en
Ocupaciones raras o en los manuales de instrucciones donde una
escalera o un reloj lo significaban todo.
Cortázar, simplemente, tomó la métrica y
musicalidad del poema (cantar era también contar) para arrastrarnos a
lo simbólico y la conceptualidad de la prosa para conformar un
concepto, tal y como menciona Saúl Yurkievich en su libro Julio
Cortázar: mundos y modos.
Dicho de otra manera, estos textos
cortazarianos no eran cuentos, sino viñetas o estampas en las que el
autor quiso retratar de manera casi neomodernista la realidad: "Piensa
en esto: cuando te regalan un reloj te regalan un pequeño infierno
florido, una cadena de rosas, un calabozo de aire / No te regalan un
reloj, tú eres el regalado."
Este tipo de textos eluden la trama y el
argumento y ahondan en el simbolismo: el micropoema se mezcla con el
microrrelato. No hay historia, sino narración. Cortázar lo explicaba
como una prosa de almanaque (calendario): una foto narrativa para cada
mes del año, como, por ejemplo, la primera edición de Último round.
Si es así, me place creer que Quim Monzó ha
hecho lo mismo en Mil cretinos. Su segunda parte son doce
textos, uno para cada año; doce retratos en los que no ocurre nada más
que una descripción de acciones y comportamientos contemporáneos.
¿Somos eso: una familia que sólo se saca fotografías ("La plenitud del
verano")? ¿Somos eso: una mayoría irreverente que expulsa a una
minoría ("Shiatsu")?... Quien se vea reflejado en ellos y no
reflexione es que está atrapado. Quien no se vea reflejado y lo
critique es que se ve fuera del sistema.
Monzó usa la misma técnica narrativa que usó
Cortázar en Último round. Sin embargo, Monzó avanza un paso
más. Si Cortázar sumaba lo simbólico de la poesía con lo conceptual de
la prosa, Monzó da otro giro de tuerca.
¿Cuál es el mejor mecanismo narrativo para
enunciar --criticar y denunciar-- la Realidad a las masas? La
propuesta de Monzó es clara: el género periodístico o el lenguaje de
los mass media.
Monzó mezcla este lenguaje de medios de comunicación --el artículo o
la columna-- con la ficción pura. Sustituye con esta opción la parte
simbólica de la poesía, por la supuesta verdad periodística. Con ello,
quizás, lo que nos quiere transmitir Quim Monzó es que lo real
duele.
Mírate en cualquiera de esas estampas
monzonianas. Reconócete. Recházate, si eres así. O, si no --tú
eliges-- sigue siendo, sin más, uno de esos mil cretinos que retrata
en la segunda parte de su libro Quim Monzó.
David González Torres, EL HUECO DEL VIERNES,
aviondepapel.com
:
Mille cretini
Se è vero come dice De Lillo che i racconti (rispetto ai romanzi ) tra
le altre caratteristiche, debbono tenere un tono, sicuramente i
racconti di Quim Monzó che compongono Mille cretini tengono
la nota benissimo. Una risonanza di sospensione attonita nei gesti
ripetuti, nei piccoli eventi che il caso porta davanti ai personaggi.
Il figlio che fa visita al padre in casa di riposo e con lui scambia
una conversazione banale mentre il padre si trucca e si veste da donna,
così come in un altro racconto “un uomo” fa visita ai genitori anziani
e storditi e nella sua casa d’infanzia abbandonata. Ecco tutto appare
in questa semplice, disarmante desolazione da svuotamento. Menomazione
psichica, sguardo attonito, ripetizioni ossessiva, sguardo fisso:
tutto rimanderebbe alla sfera del “cretino”, in quanto stupido. Se
l’assurdo non manca (come l’"Uomo alla finestra" che
guarda senza fare altro) il “cretino” di Monzó tuttavia non è quello
di Fruttero & Lucentini, uomo medio e ottuso dalla mediocrità. Monzó
risale verso l’etimologia : da “cristiano” esteso poi al significato
di “uomo comune” e poi assimilato – poiché il termine nato in ambito
Alta Savoia, alla malattia purtroppo comune in quei territori nel ‘600
– detta anche “cretinismo”. I racconti di Mille
cretini ci portano a
metà tra l’everyman e l’idiota dostoeveskijano. È un uomo che guarda
come siamo abituati noi dalla finestra di YouTube, osservando ebeti
tragicomiche epic fail,
i video delle cadute accidentali, visti a milioni forse perché rendono
segretamente comica la caducità. Qualcosa di simile provocano i
racconti di Monzó seguendo i personaggi che – come dice ancora
dell’uomo alal finestra – “trasforma un atto banale in un’ossessione”.
Così a noi la vita scorre davanti, come al papà del protagonista in "L’arrivo
della primavera", malato e in casa di riposo, era vissuto attaccando
un congedo per malattia all’altro fino a farne “l’obiettivo nella vita”,
e forse parente di Bartebly. A loro il normale si nega, come “il
nostro uomo”protagonista di "Un’altra
notte" che legge qualsiasi
cosa prima di dormire e non riesce mai a dormire perché “i neuroni si
svegliano immediatamente” o "Il
ragazzo e la donna" dell’omonimo
racconto che trasformano il loro gesto ripetitivo (lui attacca
volantini, lei lo segue e li stacca) in straniante amore, come due
personaggi di Remondi & Caporossi, imprigionati in poetiche sequenze
maniacali. Fissati o svagati, tra le stranezze, flaneur imprigionati
in mille paradossi, anche noi lettori siamo con il cretino che ripete
e ripetutamente guarda ripetersi la vita. E tuttavia forse è toccato
dalla meraviglia dei poeti che nelle frattaglie deposte in strada come
piccoli relitti insignificanti, vedono invece allegorie di un tempo
che sarà vissuto.
Mario De Santis, BOOK DETECTOR,
bookdetector.com/romanzi-stranieri/mille-cretini/
:
A
thousand morons
Quim Monzó might just be the best writer you've never heard
of. One could say he's Catalan's best-known writer -- in fact, the
publicity materials for Monzó's books in the English-language markets
routinely say so. But given our culture's scant attention to
literature in translation, such titles, however well meant, only
accentuate a writer's obscurity.
His latest, A thousand morons, is one of the
strongest short-story collections I've read in years. Out of material
too bleak perhaps for mainstream tastes, Monzó has crafted the
funniest prose.
The book is composed of two sections: seven more-substantial
stories followed by a dozen brief tales or vignettes. The first
section is bookended by stories set in a home for the aged and told by
a middle-aged narrator coming to terms with his parents' decline. In "The
coming of spring", the narrator recalls: "Having sick leave for father
was the proof that he knew how to get the most out of life. He uttered
those same words - sick leave - with the same respect that other
people utter the name of the king, the author of the best history book
ever written or the scientist who has discovered the most sought after
vaccine. 'I've been given sick leave,' he would say proudly. ... To
succeed in running one lot of sick leave into another was his main aim
in life."
In "Love is eternal," a man runs into a former lover.
Having initiated their breakup years earlier after discovering "how
horrible it is to live the life of a couple," he ambivalently
participates in love's rekindling. One morning after the woman leaves
for work, he discovers from some medical paperwork on her desk that
she has cancer. Lunch with a mutual friend confirms that she has less
than a year to live.
So why doesn't she tell him? Weeks go by and still not a
word on the subject. Meanwhile, he grows fonder of her, and the
shortness of her life expectancy eases his fear of commitment. He
proposes they move in together; she agrees. He proposes marriage; she
accepts. The year goes by: "However, not only doesn't she die but when
she sees pregnant women or mothers with children in prams she takes my
arm and looks tenderly into my eyes".
Monzó's characters are often entangled in self-created webs
of contradiction. Those with clear objectives fare worse, being either
downright delusional or having cast their lots with misplaced
confidence. In "Saturday," for instance, an elderly woman goes through
her photographs and cuts out the face of her husband, who is
presumably unfaithful and has moved out. But she finds that this is
not enough: One object after another brings to mind her husband, and
her fury cannot rest. Following the logic of association to its bitter
end, she eventually removes the floor tiling and scrapes the paint off
the walls.
Elsewhere, a young prince comes upon a sleeping princess: "Conscious
of his role in the story, the prince kisses her lovingly." It doesn't
work, so he goes further. And further. And further still. Monzó risks
sheer tastelessness before changing direction, with delightful results.
Filled with unassuming philosophical humor and
unsentimental compassion, these stories' expert pacing and confident
shifts in tone could provide a master class for aspiring writers.
As a translator himself
-- he has produced Catalan versions of authors ranging from Thomas
Hardy to Truman
Capote -- Monzó must
surely appreciate the suppleness of Peter Bush's work here. Bush gives
us Monzó's subtle complexity without any of the clunky moments that
can deform translations of comic writing in particular.
Credit must also go to
Open Letter (an imprint of the University of
Rochester), whose devotion to literature in translation and
unpredictable roster have quietly made it one of the most important
small presses in the country.
Gregory Leon Miller, SAN FRANCISCO CHRONICLE,
sfgate.com/books/article/A-Thousand-Morons-by-Quim-Monz-4244342.php#ixzz2K9DqRCl2
:
Lo scrittore Quim Monzó lo sa: i cretini
sono molto più di mille
Quim Monzó, catalano classe 1952, è narratore di una certa fama,
articolista e saggista, nonché dialoghista per l’assai trascurabile
Bigas Luna. Confessiamo tuttavia di non averlo mai letto prima d’ora.
Ossia prima di questi Mille
cretini, titolo invitante assai, tradotto da Gina
Maneri per Marcos y Marcos. Racconti brevi su una genìa ahinoi
maggioritaria – e non ne facciamo certo questione di confini regionali
o nazionali. Basti pensare a un tipo ricorrente in queste storie:
l’uomo di lettere. Il lettore improbabile che cerca il titolo giusto
per fare buona figura in società, e segnatamente, lo scrittore.
Cretino non più che carogna, c’è da dire.
Non sappiamo se e quanto vi sia di autobiografico nelle storie in sé –
s’intende, a parte l’inevitabile “simbolico” senza cui nessuna
narrazione è possibile - ma certo nell’apparente tono non curante,
nella scrittura che più piana non si potrebbe, nell’indicativo
presente costante, assiduo che sembra aderire al “reale” (qualsiasi
cosa esso sia) con composta e a tratti amabile crudezza, gli uomini di
lettere non fanno una gran figura. Il bravo scrittore che si lascia
andare a un giudizio positivo ma pacato sul libro di un esordiente, si
scopre “autore” di una fascetta pubblicitaria che lo definisce
addirittura “straordinario” – sì che il beneficato (che dice di aver
visto in lui il suo maestro), si monterà la testa e pretenderà
attraverso una serie di manovre spossanti e fastidiose anche di
frequentarlo. Le conseguenze saranno deprimenti - e tutt’altro che
inverosimili o assurde. Del resto nemmeno il Padreterno fa una gran
figura, almeno a prendere sul serio l’arcangelo Gabriele che annuncia
a Maria il “dono” non richiesto di un figlio.
Nella cultura contemporanea, peraltro, non pochi danni provengono
dalla “mitologia della cura” (si veda al riguardo una nota canzone di
Franco Battiato). Ne sa qualcosa il tizio che sposa una donna
credendola malata terminale, e sarà costretto a domandarsi dove ha
sbagliato se invece gli toccherà festeggiare di mala voglia gli
anniversari di matrimonio. Per lo più, questi cretini tendono a
invadere la vita degli altri. Vero che risulta quasi impossibile
sottrarsi a un minimo di cretineria nella vita. Forse bisognerebbe
fare come il tipo che passa ore e ore a guardare dalla finestra, a
farlo con attenzione, concentrato abbastanza da dimenticare le
incombenze quotidiane, gravide come sono di ansia e preoccupazioni
anche se si tratta di dare un bacio al proprio figlio (che cosa
potrebbe succedergli ora? come posso evitargli i pericoli di ogni
giorno?). Ma se ridursi a puro sguardo non fosse che una forma
intellettualistica di cretineria dovuta a un deficit di umanità? Monzó
oscilla dall’esplicazione umoristico-didascalica all’elusività del
racconto che lascia sospesi e leggermente interdetti; e diverte.
Michele Lupo, ALIBI ONLINE,
alibionline.it/biblioteca/2804-lo-scrittore-quim-monzo-lo-sa-i-cretini-sono-molto-piu-di-mille.html
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